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Che razza di ladro.

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Il mio nome è molto più interessante del mio aspetto. Il mio viso è piuttosto anonimo, il che nella mia professione è un vantaggio. Pietro, il mio mentore era già anziano, faceva rutti alla cipolla, scoreggiava,e fumava la pipa, inoltre passava le giornate a brontolare e a scherzare.
Abitava vicino a casa mia. Io lo guardavo mentre attraversava faticosamente la strada, avvolto in una nuvola di fumo, con le sue grucce. Aveva perso la gamba in guerra.
Avevo tredici anni quando Pietro cominciò a interessarsi a me. L’artrite lo faceva soffrire, impedendogli di lavorare, ma era un buon maestro, certamente migliore di quello che io avevo alle elementari; molto preciso ed esigente.
Nel paese lo chiamavano mano lesta. Quando ci incontravamo per strada, ci scambiavamo sempre un giovale saluto. Eravamo bene educati.
Pietro mi faceva pratica nel suo appartamento. Sempre e soltanto nel pomeriggio dopo aver frequentato la scuola. Imparavo i trucchi del mestiere su un fantoccio che aveva costruito riempiendolo di stracci. Per farmi fare pratica indossava una vecchia giacca. Così incominciai a fare pratica su di lui. Era molto critico. “Devi imparare a concentrarti!” mi rimproverava.
Dopo alcuni mesi Pietro cominciò a farmi esercitarsi in pubblico. Insistette perché gli rubassi il portafoglio sull'autobus di linea Riva Trigoso – Chiavari, al mercato, agli angoli delle vie. Alla fine di tutte le lezioni superai gli esami a pieni voti. Era l’ora di mettere alla prova le mie abilità. Pietro me lo permise.
Tolsi il portafoglio a un uomo massiccio e muscoloso durante l’ora di punta. Il teatro della mia prima era Riva Trigoso nei pressi della fabbrica “Cantiere Navale” nel momento in cui le maestranze uscivano correndo, quasi a fare a gara per recarsi alla mensa per consumare il pasto. L’operaio stava correndo, Pietro gli si piazzò davanti proprio nel mezzo del piazzale della chiesa parrocchiale di San Pietro.
Non era un caso la scelta del posto, la scena esigeva questo copione. L’operaio inciampò e cadde bestemmiando. Prontamente, come avevamo stabilito, lo aiutai a rialzarsi ma lui mi spinse via con rabbia. Il gioco era fatto. Gli avevo sfilato il portafoglio.
Andai nella toilette del bar Lungomare, situato nei pressi del cantiere navale assicurandomi di aver dato due giri di chiave alla porta, aprii il portafoglio, trovai ottantamila lire (moneta in uso in quei anni) i documenti, una foto di una donna giovane, una rubrica telefonica. Tenni tutto, tranne il portafoglio e la foto della donna. Questo successe molto tempo fa.
Con il denaro sono sempre stato oculato, sicuramente più di tanti altri che conducono una vita così detta normale. La mia vita è assai monotona, sono sposato, ho due figli e sono molto egoista. Faccio vacanza in montagna, amo viaggiare, a proposito, quando sono in ferie non esercito mai. Mangio leggero, e per tenermi in forma vado a fare delle belle camminate. Mi piacciono il buon vino e la bella musica, tutto sommato conduco una vita tranquilla. Non mi aspetto molto dagli altri, così non corro il rischio di rimanere deluso. La mia è una vita ordinaria da tutti i punti di vista. La mia professione è interessante.
Il modo in cui provvedo al mantenimento della mia famiglia incuriosisce la gente del paese, vorrebbero conoscere i dettagli; io sto attento a non scoprire la mia vera natura.
Tempo fa, in un portafoglio che ho preso ai giardini pubblici di Chiavari, nei pressi della stazione ferroviaria, ho trovato una bustina di eroina, finita insieme al portafoglio nel bidone delle immondizie, a Genova presso il museo della navigazione sono rimasto di stucco quando mi sono accorto di aver rubato la tessera di identificazione di un agente di polizia. Ho lasciato immediatamente il museo, un’altra volta alla Conad sempre a Genova mentre salivo con la scala mobile ai piani superiori, ho allungato una mano in una tasca e ho trovato una pistola. Pure in quella occasione mi sono ritirato prontamente, so calcolare i rischi.
Contrario alla violenza. Tranne i soldi, tutto finisce nel bidone della spazzatura.
La lezione l’ho imparata quel primo giorno a Riva Trigoso, quando ho tenuto la rubrica telefonica. Credi che ti verranno a fare visita in prigione? Mi redarguì Pietro. Abbi un po’di buon senso! Da quel giorno, i bidoni della spazzatura ricevettero tutto, ovviamente tranne i soldi.
Era un comportamento che non mi piaceva.
Le persone che perdono il portafoglio subiscono un grave danno, non tanto per i soldi, quanto dover rimpiazzare i documenti. E’ una seccatura che fa perdere un sacco di tempo. Però, farsi prendere dalla compassione ed evitare di farli sparire significa il fallimento dell’impresa.
Sestri levante, cinema teatro Ariston:
entrai nella sala cinematografica quando lo spettacolo era già iniziato. Mi guardai confusamente intorno, vidi una figura di un uomo abbastanza giovane, mi sedetti a due file di distanza continuando a fissare i suoi movimenti. Sembrava agitato, quasi che il film non lo interessasse. Nell'intervallo, quando le luci illuminarono la sala cinematografica mi alzai per andare a svuotare la vescica; quando ripresi il mio posto nella fila, notai che il giovane uomo doveva essersi alzato, perché ora si trovava inspiegabilmente vicino alla mia poltroncina. Avvertii subito quel piacere pruriginoso, il gusto, il godimento di quella piacevole sensazione che si prova quando si scarica l’adrenalina dal nostro corpo. Infilare le mani nella giacca dello sconosciuto era proprio quella bellissima sensazione.
Con la mia consueta abilità riuscii a tirare fuori dalla giacca del malcapitato una busta dal contenuto pesante, continuai come se niente fosse a guardare lo spettacolo che ora cominciava a piacermi. Attesi la fine del film con molta pazienza. Non uscii dalla sala cinematografica, come lo sventurato appena derubato che si avviava con passo indeciso verso l’uscita. Rimasi in attesa del secondo spettacolo. Dopo una buona mezzora, la mia curiosità di vedere il contenuto della busta superava quella, di veder finire la trama del film.
Mi alzai e mi diressi nuovamente nella toilette ma questa volta solo per appagare la mia curiosità. Estrassi dalla tasca dei pantaloni la busta che avevo prelevato dalla giacca dello sconosciuto per esaminarne il contenuto. Non stavo più nella pelle. Come sempre avrei tenuto i soldi e buttato il resto. Per mia sfortuna non fu così.
Quando vidi il contenuto, ci rimasi male. Duemila lire soltanto, fogli stropicciati di medicinali, indirizzi di medici specialistici in oncologia, il libretto della mutua, la carta d’identità e una lettera. Rimasi deluso del bottino. La vista di quegli appunti aveva scosso la mia curiosità. Così, quasi meccanicamente aprii la busta.
Lo scritto era una raccomandazione della moglie, malata di cancro perché il marito affrontasse in modo dignitoso quel triste momento della vita. Nel momento in cui finii di leggere fui preso dal rimorso.
Le mie mani incominciarono a sudare e a tremare, mi sedetti sulla tazza e fissai la firma. La lettera andava consegnata al proprietario. La ripiegai con cura e me la misi in tasca. Quello che avrebbe dovuto essere semplicissimo divenne improvvisamente maledettamente complicato.
L’uomo non viveva più all'indirizzo che era scritto sul documento d’identità, Lavagna via Devoto. Mi feci passare per un suo amico e un vicino mi diede il suo nuovo indirizzo. Mi recai in quel quartiere popolare di Lavagna “Corea”; purtroppo si era nuovamente trasferito. Alla fine ottenni un altro indirizzo.
Era stata una donna anziana a darmelo, diceva di conoscere bene quella sfortunata della moglie. Si era trovato una sistemazione economica, un monolocale in affitto nella periferia di Lavagna.
Quando mi aprì, senza lasciargli il tempo di proferire parola gli dissi di aver trovato la lettera. Sembrava importante e molto personale, vedendo l’intestazione dell’ospedale gli spiegai che mi ero dannato l’anima per rintracciarlo. Quando prese la lettera dalle mie mani, scoppiò in un pianto. Si strinse al petto la lettera e gridò: grazie! Grazie.
Io ero fermo sulla porta, imbarazzato. Mentre la lettera della moglie mi aveva commosso, il suo dolore, come tutti i dolori che non sono affrontati con dignità, mi sembrava patetico. Sua moglie, gli aveva chiesto di essere coraggioso.
Invece eccolo lì, un uomo a pezzi. Senza aggiungere una parola, girai sui tacchi e me ne andai. Avevo bisogno di aria fresca. Mi resi conto che la mia abitudine di buttare tutto nella pattumiera dopo un borseggio era da coltivare. Quello che si conserva diventa sempre fonte di preoccupazione.
Anno 1983 a Genova è stato attivato il collegamento sotterraneo funzionale all’incremento del traffico metropolitano, è realizzata la nuova fermata sotterranea chiamata “Genova Principe sotterranea” dotata di due soli binari di corsa. L’accesso alla fermata sotterranea è possibile sia attraverso delle scale mobili, poste nell'edificio della stazione ferroviaria, sia dall'esterno, in una zona posta di fronte alla stazione marittima, fra piazza del Principe, via Fanti d’Italia e via Bersaglieri d’Italia, dove avviene lo scambio fra treno, autobus e metropolitana. Non è un posto allegro, ma era il mio nuovo territorio di lavoro.
All'epoca avevo appena compiuto trentasei anni. La vita sotterranea non ha niente in comune con quella che si stende in superficie. Pendolari che entrano ed escono correndo per recarsi al lavoro, studenti vociferanti vestiti con abiti sportivi. Una postazione dove si può osservare con attenzione che chi passa il tempo lì sotto assomiglia quasi a un topo. Anziani, barboni, giovani senza dimora che si precipitano da un vagone all’altro per raccattare poche briciole. I passeggeri passano veloci cercando di evitarli.
A volte però quasi per magia quel posto si trasforma.
Musica allegra e chiassosa che echeggia nei corridoi. Fisarmoniche, chitarre, sassofoni, trombe, suonano insieme. I nordafricani vendono ogni genere di mercanzia; mendicanti senza gambe che agitano i piattini per le elemosine; gente improvvisata a vendere castagne e noccioline nella stagione invernale, poi fiori e bigiotteria. Lì sotto non c’è violenza. Quando comincio a provare fastidio, quando gli occhi mi si offuscano, esco in cerca di luce. Vado a lavorare nelle vie dove si trovano le banche e dove passeggiano i turisti. A proposito, ho già scritto dei musicisti che si trovano nei sottopassi, il che mi spingere a scrivere di un altro episodio.
Come i venditori ambulanti, questi musicisti sono dappertutto: nelle stazioni, nei corridoi, sulle strade. Alcuni sono straordinari. Un vecchio signore elegante suona il violino nella stazione di principe, una giovane donna con un vestito di seta rosso sta fissa e immobile sotto i portici del teatro Carlo Felice.
Altri sono terribili, penso a un uomo che suona la fisarmonica nelle vicinanze del supermercato coop di Sestri Levante che tormenta i passanti con stonature allucinanti, la gente si avvia velocemente all'ingresso del supermercato.
I musicisti di cui scrivo sono un gruppo di cui scrivo sono un gruppo d’indiani. Suonano quella bellissima musica andina che sembra portata dal vento. Due flauti, una chitarra, un mandolino e due tamburi. Si esibiscono nelle ore di punta del tardo pomeriggio quando i soldi affluiscono con più facilità.
La prima volta che gli ho ascoltati, ero con mia moglie e i miei due figli a una fiera che si svolgeva e tuttora continua la sua tradizione a Chiavari. La musica era dolce, triste e gioiosa allo stesso tempo. Ne ero attratto. I miei famigliari volevano girare tra i banchi della fiera, insensibili a quella dolce melodia. Con malavoglia li segui nella ressa della fiera.
La seconda volta che ebbi l’occasione di ascoltarli ero solo a Genova, sul lavoro. Mi misi ad ascoltarli per più di un’ora. Verso la fine mi scostai per accostarmi alle prime file. Notai che davanti ai piedi dei musicisti giaceva la custodia di una chitarra zeppa di monete e di banconote, in cui misi io stesso una banconota. Uno del gruppo, un uomo con i capelli lunghi legati in una coda di cavallo, si diresse in mezzo alla folla per raccogliere le offerte.
Mi accorsi che teneva un rotolo di banconote nella tasca della giacca. Si fermò accanto a me. D’istinto gli parlai dicendogli quanto fosse bella la loro musica. Lui annuì con una naturalezza che mi mise a mio agio. Qualcuno gli tocco il braccio e lui andò oltre. In quel frangente con la mia consueta abilità gli avevo sfilato il malloppo. Era stato un gioco da ragazzi. Mi dileguai tra la folla e me ne andai.
M’incamminai lungo via Andrea Doria mentre le note della musica mi risuonavano in testa. Quando mi fermai a mangiare un panino in uno dei bar lungo la via, entrai nella toilette per contare i soldi. Era stato un buon colpo. Mi chiesi se quel giovane musicista avesse perso il suo contegno. Sperai che non fosse così. D'altronde era stato così incauto e la mia tentazione troppo forte. Avrebbe dovuto essere stato un po’ più accorto.
Mi ricordo un giorno che avevo lavorato tra la folla di turisti che si recavano a visitare l’acquario, sempre a Genova. Nella maggior parte dei casi, i turisti sono bersagli facili. Il giorno di cui parlo era stato particolarmente positivo. La stagione turistica era nel pieno. I marciapiedi lungo via Gramsci erano gremiti. I portafogli sembravano balzare fuori dalle tasche per conto loro. I miei diti non mi erano mai sembrati così agili, passavo da un bersaglio all'altro, era come raccogliere le more.
A una certa ora tornai alla mia postazione provvisoria, che avevo scelto con cura, per svuotarmi le tasche e nascondere il malloppo. Avevo bisogno di staccare. Dopo circa una mezzora andai di nuovo in strada. A metà pomeriggio le cose stavano andando bene, ma io ero nervoso e avevo bisogno di calmarmi un po’. Quando mi rimisi al lavoro, scoprii con piacere che non era cambiato niente, ero al massimo della forma, come se i miei polpastrelli avessero gli occhi.
All'inizio tra piazza Acqua Verde e via Andrea Doria vidi un ragazzo che stava tentando goffamente di rubare un portafoglio. Il bersaglio era un turista grande e grosso. Questi scostò con uno strattone la mano del ragazzo. Era il tipico incidente che capita ai principianti. Mai fare affidamento sulla prevedibilità di un borseggio. L’uomo fece un balzo all'indietro e strillò. Il ragazzo era scomparso velocemente. Lo seguii per il marciapiede per parecchi isolati. Girò a destra in vico Chiabrella, si appoggiò al muro e si accese una sigaretta.
Gli tremavano le mani. In questo dimostrò di avere giudizio, i suoi timori erano giustificati, avrebbe potuto finire in prigione. All'orecchio sinistro portava un orecchino. Ero attratto dalla sua insolenza. Venne fuori che era di Catania arrivato da poco in città ed era assolutamente deciso a non finire in una fabbrica a timbrare il cartellino per tutta una vita. Mi spiegò che aveva intenzione di diventare ricco rapidamente. Era assolutamente serio; voleva vivere su una barca e starsene sdraiato tutto il giorno a bere e a caccia di donne. In questo mestiere una cosa pericolosa è l’avidità. Una persona avida si assume dei rischi assurdi, corre pericoli eccessivi e alla fine si fa prendere. Mi accorsi che il punto debole del ragazzo, era proprio questo. Quando si è troppo ambiziosi, si può anche non raggiungere la maturità. Tenni i miei pensieri per me e gli augurai buona fortuna.
Ci separammo all'altezza di via San Lorenzo. Io prosegui verso la stazione di Genova Brignole per salire sul primo treno che mi avrebbe portato a casa. Mi accorsi di essermi dimenticato di passare dalla mia postazione a ritirare la refurtiva che avevo recuperato quella giornata.
Era la prima volta che avevo quel tipo di dimenticanza. Quindi ritornai indietro a prelevare il mio piccolo tesoro. Ripresi la strada per recarmi in stazione in compagnia dei miei pensieri. Non avevo fretta, era stata proprio una gran giornata. In quanto al ragazzo, non mi ero lasciato trasportare dai sentimenti. Avevo preso una saggia decisione. Fischiettai per tutta la strada che mi separava dalla stazione. Presi il primo treno per Sestri Levante e dopo circa un’ora e mezza arrivai a casa. Era tardi. I miei famigliari erano già a letto. Nonostante l’ora accesi lo stereo, mi misi le cuffie e un cd di musica classica. Aprii una bottiglia di prosecco, accesi una sigaretta e mi coricai sul divano. Appena mi rilassai, mi sentii invadere da una sensazione stranissima. Mi alzai e andai verso la giacca che avevo buttato sullo schienale di una sedia. Infilai una mano nella tasca della giacca, dove avevo messo da parte l’ultima fetta dell’incasso della giornata. La tasca era vuota. Accidenti! Fui così sconvolto che sarebbe bastato niente a farmi crollare. Avevo le vertigini, quasi mi dimenticai di respirare, mossi un passo di lato, barcollai, poi mi ripresi. Cominciai a camminare avanti e indietro come un forsennato. Bestemmiavo. Che oltraggio. Maledizione al ragazzo e poi me stesso. Presi a calci la porta, il divano, le sedie; arrivai persino a mordermi le mani dalla rabbia che avevo in corpo. Era proprio un bel spettacolo, anche mia moglie e i miei figli si gustavano la scena senza capire. Volevano spiegazioni. Alla fine mi calmai. Per un attimo restai alla finestra scuotendo la testa per il disappunto, guardavo la strada desolatamente vuota. A quel punto cominciai a ridere. Era meraviglioso! Mi aveva davvero fatto fesso il ragazzo. Con una prestazione davvero magistrale. Fu allora che invitai mia moglie e i figli a andare a letto e tornai a sdraiarmi sul divano. Finii il mio vino e mi misi ad ascoltare la musica. Avevo perso una buona parte delle entrate di quella giornata. Che cosa ci potevo fare? Il mondo è pieno di ladri.

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